Siamo tutti Cècile

Martedì, 16 luglio 2013

Donna, nera, medico e, soprattutto, italiana, con una cittadinanza conquistata e non regalata.

Cècile Kyenge rappresenta tutto ciò che di meglio la giovane storia dell’immigrazione in Italia sta dando al nostro Paese. Donna che merita a pieno titolo il ruolo di ministro dell’Integrazione a cui è stata chiamata da Enrico Letta, capo di un governo nato sotto il segno di Giorgio Napolitano e sostenuto (comunque) da una larghissima maggioranza parlamentare.

Che questa donna, nella sua determinazione, potesse arrecare fastidio a qualche esponente politico lo si poteva immaginare: temi come quelli dei diritti di cittadinanza per gli immigrati hanno e avranno, sempre e ovunque, favorevoli e contrari. Che queste divergenze assumessero il tono della polemica accesa (da parte dei contrari perché il ministro non ha mai alzato i toni dimostrando grande forza e animo sereno) era già nel conto. Più difficile (purtroppo non impossibile) era pensare che diventasse l’oggetto delle più basse volgarità da parte di personaggi che non riescono a concepire tutto ciò che lei è: donna, nera, ministro… Evidentemente troppo per chi ha basato la sua fortuna elettorale cercando di scatenare e di volgere a proprio favore pregiudizi, paure ed intolleranze.

Siamo rimasti, prima che sdegnati, increduli davanti alle offese del Vicepresidente del Senato (!) nei confronti del ministro. Più ancora dalle giustificazioni che ha presentato. Che di razzismo si trattasse, e non di una semplice battuta, ne abbiamo avuto conferma guardando il profilo in Facebook dell’Assessore Regionale del Veneto alla Immigrazione. Come si potrà ancora discutere con questi rappresentanti delle istituzioni regionali di politiche per l’integrazione in una regione come la nostra dove gli immigrati, neri e non, sono oltre mezzo milione? Come potremo mantenere ancora salda quella coesione sociale che ha fatto in modo che finora, nonostante una crisi che imperversa e azzanna ogni giorno decine e decine di posti di lavoro, non ci sia stato un (1 di numero) episodio degno di cronaca in cui i lavoratori si siano divisi sulla base del passaporto? Queste persone che paghiamo lautamente non dovrebbero forse impegnarsi (o almeno dare da intendere che lo fanno) per risolvere i problemi a cui sono deputati?

Siamo anche profondamente preoccupati: è partito un richiamo della foresta che non sappiamo quanti lupi della ragione, solitari o in branco, ecciterà. Nell’attesa che, come abbiamo richiesto, qualcuno ci metta almeno una pezza, ci siamo fatti ancora più convinti che le parole di Malala Yousafzai all’Assemblea dell’ONU abbiamo un valore straordinario. Anche qui, in Italia, tra chi fa politica e rappresenta le istituzioni, serve a volte proprio una penna, un libro, un maestro. Non è mai troppo tardi, speriamo.