Ripartire dall’Europa, per alzare lo sguardo

Martedì, 07 febbraio 2012

Nello scenario della crisi ciò che balza subito all’occhio è l’assenza di nuovi organismi sovranazionali, capaci di guidare e contenere le ricadute sociali ed economiche delle trasformazioni che sono in atto .

Le istituzioni, Unione Europea in primis, che avevano garantito una sostanziale stabilità dal dopoguerra alla fine del millennio appaiono oggi stanche, incapaci sia di intervenire in maniera consistente sugli squilibri globali sia di risolvere le tensioni crescenti. Sempre meno rappresentative della realtà. E’ un problema che ci riguarda direttamente, anche perché siamo cittadini europei.

Oggi più che mai, sentiamo l’esigenza di portare a compimento quel processo di unificazione politica che consenta a tutti i paesi europei di parlare a livello globale con una sola voce, per essere ascoltati, per influire nei cambiamenti in corso.

Ad esempio per sostenere il “modello sociale europeo” che, seppur con rilevanti differenze tra i singoli sistemi nazionali, ha rappresentato uno degli elementi più alti del progresso dell’intero occidente, frutto dell’azione del movimento operaio e sindacale che ha avuto un ruolo fondamentale nell’affermarvi concetti come quello di welfare e di partecipazione democratica.

Una Unione Europea più unita ci serve anche per evitare derive autoritarie perché un Paese in difficoltà economica, impoverito e frammentato, con una politica debolissima, ed il nostro è così, è fortemente esposto al populismo condito o meno con l’egoismo localista. 

Anche la crescita, l’unico strumento per pagare i debiti senza strozzarci il presente e annebbiare il futuro, dipende dalla capacità dell’Europa di fare politica economica e di disporre le risorse necessarie. Ma in gioco c’è molto di più.

Un’Europa capace di governo può contribuire in modo insostituibile e non surrogabile nel contesto mondiale a riportare equilibrio tra politica ed economia ed a rimettere al suo giusto posto un sistema finanziario impazzito per l’assenza di regole.

La costruzione di un’Europa più forte, opera da troppi anni trascurata molti se non boicottata da alcuni, è quindi questione che interessa tutti ma in modo particolare i lavoratori ed il sindacato.

Ripiegarci quindi entro le frontiere nazionali, peggio ancora locali, significa tagliarci la strada e perdere la nostra funzione di forza di trasformazione sociale.

Nessuno, ad oggi, ha saputo indicare una via di progresso sociale, diversa da quello che poggia sulla piena integrazione politica dell’Europa. Anche chi predica la “piccola patria” guarda comunque a quella “grande”, magari con l’astio di chi si aspetta molto di più da quest’ultima.

Per vedere concluso il più vasto processo di unificazione pacifica e rispettosa delle diversità della storia umana, questa l’unione degli europei, dobbiamo alzare lo sguardo e riappropriarci di quella speranza sul futuro senza la quale non abbiamo motivo di esistere.