Noi Cisl e Renzi

Lunedì, 10 novembre 2014

Non credo si possa considerare Matteo Renzi uno qualsiasi dei tanti leader politici che l’Italia ha avuto ed ha. La sua concezione della politica, come il suo modo di praticarla, sono una sostanziale novità per tutti, novità che non può essere sottovalutata da facili paragoni dettati più dalla voglia di polemica che dalla necessità di capire.

La questione ci riguarda anche come sindacato ed è nostro compito guardare alla sostanza delle cose più che alla ridondanza dei commenti che accompagnano i suoi discorsi e dichiarazioni.

Possiamo farlo perché non ci troviamo invischiati in uno scontro prettamente politico (e per alcuni aspetti anche partitico) con il Presidente del Consiglio nonché segretario di partito, come invece si trova, purtroppo, la Cgil.

Non abbiamo motivi di pensare che sia arrivato dov’è oggi grazie ad una oscura trama dei “poteri forti” e tantomeno per minacciare scioperi generali manco annunciati nemmeno per i ben duri sacrifici imposti dal governo Monti.

Veniamo quindi ai fatti.

Sommando diverse dichiarazioni ed altrettanti atteggiamenti è chiaro che Renzi vede il sindacato come una forza sostanzialmente conservatrice (perché difende diritti che appartengono a gruppi sociali storici), che non ha diritto di contrattare con il governo le leggi e che deve occuparsi invece molto di contrattazione nelle aziende e battersi per la difesa della produzione e della occupazione in quelle in crisi.

Questa visione non ci sconvolge, anzi. Da vent’anni sosteniamo lo Statuto dei lavori come superamento della legge 300/70, abbiamo sempre considerato la concertazione come un metodo utile per il governo del Paese quando la politica e le istituzioni sono deboli, dal 1953 alziamo ogni giorno la bandiera della contrattazione articolata e da tempo puntiamo le nostre carte migliori su quella aziendale/territoriale.

Qualche giorno fa sia Renzi che Annamaria Furlan hanno commentato la minaccia della Fiom di occupare le fabbriche con le stesse identiche parole: non ci serve occupare (le fabbriche) ma più occupazione (posti di lavoro). Causalità? Estemporanea opinione comune? O forse la dimostrazione che siamo (su alcune questioni) meno lontani di quanto ci sforziamo di rappresentarci?

Forti di una solidissima storia di autonomia dai partiti e dai governi possiamo anche permetterci di affermare che corrispondono in larga parte alle nostre proposte e richieste alcuni percorsi di riforma e semplificazione delle istituzioni che l’attuale governo sta portando a compimento come l’abolizione delle province, la riorganizzazione del Titolo V della Costituzione ed il nuovo Parlamento.

Ma, c’è un ma.

La nostra neo Segretaria generale ha posto come condizione ineludibile la pratica del dialogo sociale.

Il dialogo sociale, cioè il confronto serio, propositivo e attento, in primis tra le grandi organizzazioni sindacali e quelle dell’impresa e poi tra le Parti Sociali ed il governo, è infatti un valore fondamentale della moderna società europea.

Il dialogo sociale tra le Parti Sociali è indispensabile per accompagnare i processi di sviluppo produttivo, per migliorare le relazioni nelle aziende, per passare rapidamente dalla cultura dell’antagonismo a quella della partecipazione. Il governo deve accompagnare e sostenere i contenuti di questo dialogo anche con adeguati provvedimenti di legge.

Con il governo il dialogo può essere anche trattativa, magari non su tutti i provvedimenti di legge in costruzione, ma certamente sugli indirizzi generali della politica economica e del lavoro, per accompagnare le svolte ed i cambiamenti che urgono. Non si riforma, ricostruisce o rivoluziona un Paese maturo come l’Italia solo con buone leggi e buoni discorsi. Serve anche quella fatica della relazione quotidiana con i lavoratori e le imprese che solo i corpi intermedi possono svolgere: un compito che ci appartiene e che nemmeno il miglior politico d’Italia può negare e negarci.