Liberiamo il suolo natìo

Mercoledì, 25 gennaio 2012

“Giuriamo far libero il suolo natìo”scrisse così Goffredo Mameli, ventenne, nel comporre il testo del Canto degli italiani, quello che nel 1946 divenne l’inno nazionale della Repubblica Italiana: Fratelli d’Italia. Il suol natìo per i giovani come lui era qualcosa di molto diverso dall’odierno Stato Italiano. C’erano tanti suoli, tanti confini, tanti passaporti. Lui stesso era cittadino del Regno di Sardegna, essendo nato a Genova e l’Italia era una visione politica, specie dei giovani, ed una dimensione culturale composita.
Applicato ad oggi questo concetto porta dritto-dritto al riconoscere la cittadinanza a tutti coloro che nascono nel nostro Paese. Invece così non è. Siamo ancora legati all’ordinamento della cittadinanza come diritto che nasce dal sangue, cioè dal genitore e dalla sua cittadinanza.
La storia ci dice lo ius sanguinis è dei Paesi di emigrazione, come lo è stato il nostro fino a due decenni fa, prima di invertire rapidamente la rotta e diventare terra di immigrazione. L’ultima legge sulla cittadinanza risale al 1992, capo del governo Andreotti, e gli stranieri erano un milione e mezzo, un terzo rispetto ad oggi. E i paradossi non mancano: sono italiani i nipoti, che magari non hanno mai messo piede nella penisola, dei nostri trisavoli emigrati prima della guerra in Brasile, non lo sono i ragazzi qui nati se non prima della maggiore età e a patto che siano sempre stati residenti in Italia. Le norme  legislative in vigore sono talmente avulse dalla attualità sociale che non sono pochi i casi di genitori entrambi italiani con i propri figli stranieri.
Le parole del Presidente della Repubblica per cui è “un'autentica, non so se definirla follia o assurdità, cioè quella dei bambini di immigrati nati in Italia che non diventano cittadini italiani”  hanno colto quindi nel segno: è ora di cambiare queste norme e trasferire il nostro diritto tra quelli che hanno come ordinamento lo ius soli.
Per un paese attraversato da una crisi che occlude, se non curata in tempo, una gran parte del suo futuro, intervenire anche su questi aspetti ha un significato che va oltre la pur giusta affermazione di diritti civili. Aprire i diritti di cittadinanza, come quelli della partecipazione elettorale, ai nuovi italiani significa dimostrare la capacità di andare incontro al futuro, di svecchiare la nostra società, di riformularne le regole della vita sociale e civile; in una parola: riuscire liberare tutte le risorse positive che abbiamo. Ed è quello che ci serve anche nell’economia,  nel lavoro e nella politica.
Cominciamo quindi il 151° anno dell’Italia unita liberando il suolo natìo da leggi e da visioni ideologiche che incatenano i diritti di cittadinanza per i molti, e sempre più numerosi, nuovi italiani. Sono decine di migliaia di ragazzi e ragazze che già cantano, a scuola come in tutte le altre occasioni e con comune orgoglio e partecipazione, Fratelli d’Italia.