Infortuni: l’impegno sulla sicurezza paga

Venerdì, 22 aprile 2011

La sentenza Thyssen a Torino ed i due lavoratori padovani morti sul lavoro a distanza di qualche giorno ci sbattono in faccia una drammatica realtà: ancora oggi si può morire lavorando in una grande azienda, dove pure le risorse per curare la sicurezza non dovrebbero mancare, come si muore lavorando nella piccola impresa, dove l'organizzazione del lavoro è meno anonima.
Questi fatti non possono però farci trascurare un altro fatto: il numero delle morti bianche si sta, da alcuni anni, progressivamente, riducendo.
La puntuale analisi degli infortuni mortali sul lavoro che una società veneta (Vega Engineering) mette a disposizione di tutti, integrando i dati dell'Inail, anche questi sempre più dettagliati, ci fornisce informazioni utili a capire come vanno le cose sul fronte della sicurezza nel lavoro. La distinzione tra i casi di morte sul posto di lavoro rispetto a quelli occorsi "in itinere" o comunque lunga la strada conferma questo calo e, nel contempo, dimostra come le strade, la circolazione, il traffico siano sempre un grande pericolo (più di 4 mila morti all'anno).
In Veneto queste cause determinano ogni più della metà degli infortuni mortali. Così il numero di quelli che avvengono sul posto di lavoro tradizionalmente inteso (la fabbrica, il cantiere, il campo agricolo, ecc.) gira intorno ai, sempre tanti comunque, 50-60 casi, peraltro in lenta riduzione.
Va anche detto che circoscrivendo il numero delle vittime ai soli lavoratori dipendenti si ha un'ulteriore riduzione. La tendenza a calare riguarda infine anche il numero totale degli infortuni denunciati.
Alcuni osservatori ritengono che questo fatto, indubbiamente positivo, sia dovuto alla crisi secondo l'equazione "meno lavoro (ore, occupati) uguale meno infortuni". Ciò può essere anche, in parte, vero. Ma la curva discendente, nel lavoro dipendente, inizia ben prima della crisi.
Riteniamo quindi che non sia azzardato affermare che anni ed anni di impegno incessante su questo fronte con l'informazione, l'educazione alla prevenzione, il controllo e la repressione, gli investimenti e gli incentivi, sta cominciando a dare gli effetti sperati. Anche i media hanno svolto una parte importante dando risalto ad ogni singolo caso, imponendo l'attenzione pubblica su questa dimensione, inaccettabile, del lavorare.
Dire che la lotta paga, che tanto impegno sta dando risultati concreti, serve.
Serve per andare avanti, per argomentare con più forza che siamo sulla strada giusta, che ce la si può fare, che si può vincere. E', dunque, uno sprone a fare meglio e di più.
Le visioni da catastrofismo perenne, da emergenza sempre più grave, possono invece creare quel senso di impotenza che porta alla rassegnazione: proprio ciò che non ci serve se vogliamo portare a compimento questa storica battaglia.
Quando potremo dire che sarà compiuta? Quando l'Inail riempirà di zeri le sue tabelle statistiche.