Fisco: tra Costituzione e prassi un divorzio all'italiana?

Venerdì, 26 febbraio 2010

Affermare, come facciamo, che quella del fisco è la vera riforma istituzionale può sembrare una provocatoria esagerazione. Dal punto di vista formale potrebbe essere così: il fisco non è una istituzione. Eppure la sostanza delle cose ci dice che non sbagliamo. E' il fisco, è il pagare le tasse, ciò che sorregge lo Stato e permette alle sue istituzioni di operare. Un fisco equo rende lo Stato e le sue istituzioni più democratiche, un fisco giusto con tutti le rende più autorevoli, un fisco semplice e onesto le avvicina ai cittadini. Il contrario genera l'opposto.
E non c'è ombra di dubbio che le nostre istituzioni abbiamo bisogno di maggior democrazia, autorevolezza e vicinanza ai cittadini.
Uno Stato e le sue istituzioni che non si fanno rispettare da tutti permettendo una diffusa pratica di grande evasione fiscale non possono ottenere il rispetto di tutti. Così è anche se, al dovere sociale del pagar le tasse, rispondono solo i lavoratori dipendenti e pensionati.
E' stato impressionante assistere alla levata di scudi contro l'allora ministro Padoa Schioppa quando affermò che le "tasse sono belle". Nessuno pensò che la frase si riferisse alla positività del sistema fiscale in un Paese democratico che rende compartecipi tutti, sulla base del loro censo, alla edificazione delle "belle" strutture portanti di una società civile: l'istruzione, la sanità, la sicurezza, ecc.
D'altronde non potevano (e non possono) vederle "belle" chi le tasse le paga tutte e tante, visto che non le pagano tutti. Certamente non pensava (e non pensa) così delle tasse chi si è abituato a non pagarle o a pagarne poche senza averne alcuna conseguenza negativa: per questi una "bella tassa" è solamente una minaccia.
La nostra Costituzione assegna poche righe alle tasse dedicandovi, sotto il Titolo Diritti e doveri dei cittadini- rapporti politici un solo articolo, il 53, per il quale "Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva" e "Il sistema tributario è informato a criteri di progressività".
Quello precedente il 52 recita"La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino" mentre il successivo dice che "Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore".
La sequenza non è casuale. Difendere la patria, pagare le tasse, essere fedeli alla Repubblica, onorarne le leggi, a cominciare da chi svolge funzioni pubbliche. Doveri che sono anche diritti, nel contesto del rapporti politici (non tra "i politici").
C'è dunque un divorzio tra Costituzione e pratica fiscale? Senza dubbio sì, o come minimo una convivenza da separati in casa.
Riconciliare la Costituzione con la prassi fiscale è dunque una vera riforma. Se ne avvantaggerebbero non tanto e non solo i conti dello Stato ma in primis le istituzioni repubblicane e chi è ne ha avuto l'affido. Ne guadagnerebbero in credibilità, in autorevolezza, in trasparenza dell'azione di rappresentanza oltre che di governo dell'economia e della società.
La riforma per cui ci battiamo non è quindi difesa di interessi partigiani che fa leva sul generico e populistico "pagare meno tasse". La nostra richiesta che si riduca sensibilmente la tassazione sui redditi di lavoro e pensione e sulla famiglia non è dettata solo dall'emergenza crisi o dalla necessità di tutelare questi redditi. E' innanzitutto una battaglia per dare più senso e forza alla democrazia italiana e alle sue istituzioni.
Una condizione ricca di positivi effetti sociali.
Ad esempio se pensiamo al nostro Paese guardandolo attraverso il dettato costituzionale del "tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica" potremmo avere una visione più corretta di quei milioni di lavoratori immigrati che pagano le tasse e che forse potrebbero essere considerati più cittadini italiani di quegli italiani (compresi tanti "eroi nazionali") che per non pagarle prendono residenza e cittadinanza nei paradisi fiscali.
Non sarebbe male se, in occasione dei 150 anni dell'unità d'Italia, che celebreremo il prossimo anno, si potesse piantare anche la bandiera di un patto che riunisca Costituzione e prassi fiscale e che ci renda tutti orgogliosi di appartenere come cittadini contribuenti a questo nostro Paese.

fisco, Franca Porto