Crisi: universalità delle cause, discriminazione nelle cure?

Sabato, 30 gennaio 2010

Che la crisi provenga dal sistema economico e finanziario globale non ci piove sopra. Finanza mondiale e grandi banche hanno concorso a portare alla recessione le economie locali più floride, facendo chiudere i battenti a migliaia di imprese e bruciando milioni di posti di lavoro.
I più colpiti sono stati i Paesi già poveri, dove lo Stato ha poco o nulla di suo da mettere per sostenersi. Si stanno creando così nuove disuguaglianze che non portano a nulla di buono anche per i più forti: un mondo ancora più diseguale chiama solo conflitti e violenze.
Riproporre in un Paese, come il nostro, questo meccanismo porta solo al peggio ed aumenta i già tanti problemi che la crisi ci chiama a risolvere.
Parliamo del modo con cui, anche in Veneto, alcuni responsabili politici ed amministratori locali intendono la gestione delle politiche anticrisi nei confronti di una parte dei lavoratori: quelli con passaporto straniero; persone che pur concorrono a sostenere l'economia, il welfare e la fiscalità nella nostra regione: tre cardini dello sviluppo.
La crisi batte forte proprio tra questi lavoratori, attivi nei punti nevralgici del sistema produttivo regionale: manifatturiero di esportazione, costruzioni, servizi alle imprese. 40 mila assunzioni in meno pesano non poco sui 250-260 mila immigrati veneti in età di lavoro.
Lo Stato garantisce ammortizzatori sociali senza discriminanti di nazionalità e così sono anche quelli regolati a livello regionale.
Non si capiscono quindi le ragioni per cui alcuni amministratori pubblici si ingegnano ad elaborare provvedimenti anticrisi discriminanti.
La motivazione richiamata a sostegno di questa scelta è quella per cui "quel poco che abbiamo lo destiniamo ai nostri (intesi come cittadini italiani)". Ma "quel poco" (inaspettata ammissione) lo abbiamo grazie al concorso degli stessi discriminati visto che deriva sempre dalle tasse, pagate in gran parte dai lavoratori dipendenti, senza differenze di passaporto.
A queste stonature va posto rimedio guardando non più in là della semplice realtà quotidiana: non discriminano le imprese venete (nelle assunzioni come nei licenziamenti), non discriminano i lavoratori veneti (anche nelle lotte più aspre per la difesa del lavoro). Non discriminato nemmeno i cittadini veneti che sul diritto alle case popolari per gli immigrati si dichiarano favorevoli al 77% .
L'insistere su queste scelte oltretutto vanifica lo sforzo quotidiano di integrazione che volontariato, associazioni, imprese ed enti portano avanti garantendoci una buona tenuta sociale anche in carenza di politiche pubbliche di integrazione per favorire invece divisioni e contrapposizioni tra persone che sempre di più, nel tempo ed in quantità, sono destinate a vivere insieme. Ritardare una consapevole assunzione di responsabilità sull'immigrazione vuol dire, come è successo per il debito pubblico, che i conti arriveranno in futuro. E dovremo pagarli!

immigrati, Franca Porto