Ci vuole un fiore

Giovedì, 26 febbraio 2015

Per fare un albero ci vuole un fiore.
Chi non conosce qualche strofa della canzone che cantava Sergio Endrigo, di solito accompagnato da un coro di bambini? E’ stata scritta infatti per i bambini da un autore che, come tutti i grandi favolisti (non fu solo questo), sapeva parlare con le stesse parole di cose importanti anche agli adulti: Gianni Rodari.
Il messaggio di Ci vuole un fiore sta nelle prime due strofe della poesia “le cose d'ogni giorno raccontano i segreti a chi le sa guardare ed ascoltare”. Un invito, poetico ma concretissimo, a capire la realtà delle cose, ai legami che tengono insieme ciò che invece appare distante e separato, alla unitarietà della natura ma anche dell’umano. E di come, per arrivare alle grandi cose, che siano opera umana (il tavolo) o della natura (la terra) si deve partire sempre dalle piccole, e viceversa.
Questa pedagogia di Rodari può esserci anche utile per trovare una risposta adeguata ad un altro “Cosa ci vuole”: cosa ci vuole per far ripartire il lavoro e l’occupazione.
Le macro-risposte ci portano poco lontano: cambiare il mondo, riequilibrare le sperequazioni prodotte dal capitalismo, mettere le briglie alla finanza mondiale. Attenzione: queste non sono risposte sbagliate, anzi: colgono l’origine del male, la causa profonda di questa come di altre crisi. Guai a metterle in disparte anche perché aprono le porte a quelle speranze ed attese che sono il motore sociale del cambiamento.
Non vanno bene nemmeno le soluzioni “miracolose”, che o si pretendono da chi ci governa: Renzi, l’Unione Europea, il padronato o che siano questi stessi a proporcele come rimedio sicuro e infallibile. Certo però che atti, provvedimenti, politiche economiche, investimenti di risorse, sono necessari, indispensabili. Ma non bastano.
Per il caso Italia dove la grandiosa macchina della produzione e del lavoro creata nel dopoguerra e più volte ristrutturata fino alla fine dello scorso secolo si è fermata e ha cominciato a fare marcia indietro perfino nello stupefacente Veneto dello sviluppo progressivo e (sembrava) infinito ci vuole molto di più.
Sappiamo che la perduranza della crisi non è dovuta alla carenza di carburante o di strada: gli altri Paesi industriali sono già tutti ripartiti; non è dovuta nemmeno alla mancanza di potenzialità: in sei anni non spariscono competenze, professionalità e molto altro creatosi in più di cento anni di storia industriale.
Le mancate riforme, la strategia di marginalità europea che ha caratterizzato gran parte dell’azione dei governi successivi all’Euro, il blocco istituzionale, la lentezza dei cambiamenti nelle relazioni sindacali (ammettiamolo!) hanno incaprettato il Paese e, come capita a chi è rimasto immobile per lungo tempo, non basta tagliare i lacci o togliere i gessi, per rimetterlo in movimento.
Serve invece una lunga azione riabilitativa, che ridia tono ed elasticità ad ogni più piccola parte del corpo paralizzato.
Quello che ci vuole è quindi, semplicemente, tutto: nuove utopie e speranze, scelte politiche adeguate ma anche coerente impegno ed azione locale, aziendale, territoriale.
E’ quello che sosteniamo da tempo quando diciamo che la contrattazione aziendale (e territoriale) può dare un apporto sostanziale per ottenere il massimo dei risultati possibili nella competitività delle nostre aziende, nella buona occupazione aggiuntiva, nella costruzione di welfare integrativo.
Speranze e provvedimenti di legge devono trovare la loro declinazione in ogni singola azienda, fabbrica, servizio per produrre risultati, e così il contrario.
“Per fare tutto ci vuole un fiore”, dice la filastrocca di Rodari. E questi fiori in Veneto, se sappiamo guardare ed ascoltare i loro segreti, abbondano.
E’ nostro compito e responsabilità curarli e coltivarli.