Afghanistan: altri morti italiani

Giovedì, 17 settembre 2009

Altri militari italiani morti in Afghanistan, vittime di un attentato organizzato in pieno centro a Kabul dai talebani con un autobomba. Altri sono rimasti feriti.
Ancora altri morti e altri feriti anche tra i civili afgani.
L'attentato è avvenuto contemporaneamente alla conclusione della conferenza stampa del presidente Karzai sui risultati, controversi e non ancora riconosciuti dagli osservatori dell'Unione Europea, delle recenti elezioni politiche afgane.

L'Italia, partecipe di un mandato delle Nazioni Unite, paga così un ulteriore pesante contributo di sangue e di vite spezzate nella lotta per la sicurezza internazionale e contro il terrorismo in un paese, come l'Afghanistan, martoriato da guerre infinite e scelto come base da Al Qaida per portare l'orrore in tutto il mondo.
Nel pensare a coloro che hanno perso la vita in questa difficile missione internazionale, ci sentiamo vicini al dolore delle loro famiglie, dei loro cari.
I sentimenti di cordoglio, di vicinanza umana, di partecipazione al lutto di chi perduto i propri famigliari o amici non ci esonerano però dall'obbligo di una riflessione più ampia che fatti drammatici ma non isolati e casuali, come quello di oggi a Kabul, impongono ad una organizzazione sociale come la Cisl che, rappresentando milioni di lavoratori, si batte per la pace, per il rispetto tra i popoli, il diritto alla democrazia e allo sviluppo per tutti.

Sappiamo che il terrorismo, i conflitti armati, la violenza delle armi non distrugge le vite ed il futuro solo in Afghanistan, come sappiamo che senza pace è difficile dare il via a quello sviluppo economico e sociale in molte parti del mondo che è sempre più necessario per assicurare libertà, democrazia e sicurezza in tutto il mondo.
La crisi internazionale ha profondamente scosso le fondamenta di un'economia mondiale dominata dalla finanza facile, dalla forza delle armi, dalla rigida separazione tra ricchi e poveri.
L'azione della politica, dei singoli governi nazionali come delle istituzioni internazionali, deve trarre conseguenze pratiche che vadano ben oltre le valutazioni sul da farsi in questo specifico quadrato di guerra ma si propongano di intervenire nei meccanismi economici e sociali che favoriscono, incentivano e anche, a volte, coltivano la violenza ed il conflitto armato come soluzione dei problemi singoli e collettivi.

La crisi internazionale, le difficoltà delle economie più avanzate, se certamente assicurano minori risorse per la guerra, non possono rendere più debole la politica e quindi lasciare campo libero al terrorismo e alla voce delle armi.

Al contrario la politica, specie quella internazionale, anche sulla scia dei cambiamenti di rotta, rispetto al recente passato avvenuti nel paese più potente al mondo, con l'elezione del presidente Obama, deve darsi una agenda di azioni e di interventi concreti che migliorino i rapporti e le relazioni tra i popoli dei paesi poveri e quelli dei paesi più sviluppati, che combatta il radicalismo violento con i risultati visibili della cooperazione internazionale, che impongano l'interesse collettivo di chi non ha voce a quello greve di chi pensa solo al proprio profitto.

Noi ci metteremo la nostra parte di impegno. Lo dobbiamo anche a chi, stamattina, ha perduto la propria vita.

internazionale, Franca Porto