Cambiare l’Europa, sì, ma per renderla più forte

Martedì, 21 maggio 2019

In Italia la campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Europeo ha ignorato i temi dell’Europa.

Salvo qualche raro segnale, abbiamo assistito ad un confronto politico di bassissimo profilo, segnato mediaticamente dagli scontri quotidiani tra gli alleati di governo, da un confuso sovranismo coniugato da invocazioni blasfeme, da attacchi a Papa Francesco e dall’assenza di idee sull’Europa che si vorrebbe.

Di buono, se così si può dire, c’è solo il fatto che nessuno ha sostenuto la Italianexit come progetto politico (la Brexit insegna!).

Questa retromarcia non basta però a rischiarare il comune orizzonte nazionale ed europeo.

Rimane intatta la preoccupazione sul progressivo isolamento dell’Italia nel contesto dei Paesi che contano nelle politiche europee. Se confermato sarebbe un fatto unico nella storia della Comunità: un Paese fondatore che non ha più voce nelle sue scelte fondamentali.

Eppure era possibile, più ancora doveroso ed utile, un grande confronto politico sull’Europa, sulle scelte che i diversi schieramenti si propongono di sostenere a Bruxelles e a Strasburgo.

Ad esempio su come si intende cambiare l’Europa unita. Anche per avere una politica comune e solidale sui temi come il commercio internazionale, il declino demografico, il welfare e la crescita economica, la sicurezza (a partire da quella sull’ambiente), la ricerca scientifica. Oppure su come rendere più pervasivi gli obblighi solidali dentro la comunità e superare l’eccesso di diritto di veto.

Per noi rimane fisso l’obiettivo di passare dall’unione degli Stati sovrani alla unione federale degli Stati Uniti d’Europa.

Non serve una particolare perspicacia politica per comprendere che i 28 Stati, debolmente uniti, non sono in grado di confrontarsi alla pari con potenze come la Repubblica Popolare Cinese, gli Stati Uniti d’America, la Comunità degli Stati Indipendenti (che, sbagliando di grosso, abbreviamo in Russia). Queste sì potenze che possono sostenere politiche sovraniste (danneggiando tutto il mondo, come stanno facendo).

I 28 litiganti non possono nemmeno proporsi come partner dell’Africa e delle sue speranze di sviluppo.

In queste nebbie che avvolgono le urne alle quali sono chiamati 400 milioni di elettori non si parla più nemmeno di quei Paesi che stanno bussando alle porte dell’Unione e hanno avviato il percorso per farne parte. Un percorso che comporta più libertà interne, stato di diritto, superamento dei conflitti etnici ed economia aperta. Cambiamenti profondi che, ad esempio, rappresenterebbero il superamento dei fattori che provocarono la guerra nell’ex Jugoslavia e la conferma del ruolo di pacificazione dell’Europa unita.

Una ultima parola sul Veneto. Impossibile pensarlo senza l’Europa comunitaria e impraticabile la sua separazione. Se non altro per ragioni storiche: è la parte d’Italia che più ha pagato i due conflitti europei (poi mondiali) ma che, per prima, ha poi beneficiato della pace tra gli ex belligeranti.

Per questo domenica 26 invitiamo tutti gli elettori europei, a partire dai nostri associati, a partecipare al voto per cambiare l’Europa, per un’Europa unita più forte.