Roma docet: cambio di passo anche in Veneto

Lunedì, 17 marzo 2014

Il cambio di passo che Matteo Renzi ha impresso alla politica italiana è un fatto di portata straordinari, non solo per la sferzata che sta dando ai partiti e alle (finora) inamovibili e farraginose burocrazie ministeriali. E nemmeno per la velocità e la determinazione (rapidità) con cui sta affrontando l'incagliata struttura dei poteri di questo Paese, prodotta da un’ impresentabile legge elettorale, un consunto bicameralismo perfetto ed una inadeguata riforma del Titolo V che ha partorito montagne di contenziosi tra Stato e Regioni e un modesto e confuso federalismo.

C’è un’ ulteriore ragione che giustifica questo modo di procedere “corsaro” assunto dal premier come metodo: assegnare grande importanza all’ascolto veloce e, in conseguenza, accantonare i riti, ormai totalmente logori, della concertazione. Ne derivano decisioni che forzano vincoli formali, ma capaci di generare un valore maggiore rispetto a quello finora ottenuto con il rispetto di questi vincoli. Così si deve fare per uscire dal pantano della politica e dal pozzo della crisi, ridando autorevolezza democratica alle istituzioni e agganciando il treno della ripresa economica.

Questo metodo dovrebbe valere anche per il Veneto: tre esempi.

Nel 2012 abbiamo proposto ai Comuni di sforare il Patto di Stabilità per intervenire con urgenza nell’assetto idrogeologico e nell’edilizia scolastica e al presidente Zaia di coprire politicamente gli amministratori locali che avessero deciso in questo senso. Si è però preferito rimanere nel perimetro imposto dall’ Europa e dal governo Monti. Risultato? Sono arrivate le alluvioni con danni per centinaia di milioni di euro. Naturalmente hanno pesato anche veti e localismi che hanno bloccato o rallentato la realizzazione delle opere comunque finanziate.

Un secondo esempio riguarda l’uso delle risorse per gli ammortizzatori sociali. Si è lasciato al pour parler il modello della flexicurity in uso in tutta l’ Europa che conta e che l’Unione ci ha invitato ad adottare per costruire un efficiente sistema di ricollocazione e riqualificazione dei lavoratori espulsi dal ciclo. Che senso ha “parcheggiare” i cassaintegrati in attesa di una ripresa produttiva che può anche non arrivare, sfiduciandoli invece che impegnarli, riqualificandoli, nella ricerca attiva di un nuovo lavoro? In Veneto si poteva e si può fare di meglio.

Infine, la fiscalità di scopo. Oggi il cittadino percepisce la fiscalità come vessazione perché non è chiaro dove vanno a finire i suoi soldi. Si pensa “Ecco, io pago tasse pazzesche e lo Stato che se ne fa?”. E’ un fatto cruciale di democrazia, invece, restituire piena tracciabilità al prelievo fiscale. Da qui un’altra proposta che abbiamo avanzato più volte: destinare l’addizionale Irpef o una tassa di scopo per miglioramenti nel welfare socio-sanitario locale.

Quel che vorremmo è che anche in Veneto tutti (compresi noi sindacalisti) mettessimo una marcia in più, assumendoci maggiori responsabilità e mettendoci la faccia. Stavolta Roma docet.