Rappresentanza, contrattazione e partecipazione: verso il sindacato nuovo

Giovedì, 27 febbraio 2014

Mettiamo in linea i tre accordi sindacato- Confindustria che hanno riformato le relazioni sindacali nel nostro Paese: sui nuovi assetti contrattuali del 2009 (più spazio alla contrattazione aziendale e locale), su produttività e competitività del 2012 (incentivazione del salario aziendale legato alla produttività) e questo ultimo di gennaio sulle nuove regole della rappresentanza e rappresentatività (si va a maggioranza e maggiori responsabilità contrattuali alle Rsu).
Mettiamo poi da parte le polemiche e le contumelie che si sono e si stanno consumando e piuttosto consideriamoli accordi già operativi. Poniamoci quindi alcune domande: qual è il filo rosso che li collega? Che effetto hanno avuto o possono avere nella quotidianità dell’azione sindacale nei posti di lavoro? Ed infine: cosa cambiano nel sindacalismo italiano e dove lo portano?
Il filo conduttore indubbiamente è quello del definitivo superamento di quell’insieme di regole, norme e prassi che bloccavano la funzione primaria, la vera grande forza motrice del sindacato italiano, la contrattazione, dentro un sempre più soffocante perimetro tracciato da quattro mura oramai rabberciate: la centralizzazione, la rigidità, l’uniformità, la ritualità. Si sono liberati nuovi percorsi verso i quali da decenni indirizzavano la loro azione contrattuale migliaia di delegati e dirigenti sindacali: il governo dei cambiamenti nei luoghi del lavoro, l’opportunità di rispondere alla molteplicità degli interessi del lavoro, la partecipazione alla sfida della competitività, il mantenimento del ruolo di effettiva rappresentanza (e quindi autorevolezza) del sindacato.
Chi temeva lo sparpagliamento e la frammentazione aziendalistica e quindi l’impoverimento ideale ed un indebolimento contrattuale non può che riscontrare l’esatto contrario: si è aguzzata l’intelligenza contrattuale, si gareggia nella ricerca di nuove risposte, si emulano le buone prassi, si occupano gli spazi aperti, è cresciuta la domanda di sindacato. Tutto ciò nella peggiore delle condizioni: cinque anni consecutivi di crisi e di oltraggi al lavoro.
A “salvare” il sindacato da un drastico ridimensionamento (come è avvenuto in altri Paesi industriali attraversati dalla crisi) è stata la sua capacità di cogliere e far proprie in modo rapido ed efficace le nuove opportunità che, sempre, le difficoltà portano con sé. Segno evidente, che, al di là delle sigle, il corpo del sindacato è strettamente legato alla realtà del lavoro, alle sue necessità vitali, ai suoi concreti quotidiani problemi. Basti pensare all’impatto sulla contrattazione aziendale, spesso rivoluzionario, del salario di produttività, della mutualità e del welfare integrativo. In Veneto, da sempre sensibilissimo alla innovazione nelle relazioni sindacali (a volte anche precursore), si sono traguardate decine e decine di nuove esperienze e sperimentazioni, di piccole “eresie” spesso taciute o nascoste per evitare di entrate nel tritacarne delle dispute ideologiche.
Il sindacalismo italiano nei fatti, nella concretezza dell’agire, è quindi fortemente cambiato. Magari, a volte, senza volerlo riconoscere ufficialmente, anche se sono sempre meno i luoghi dove rimangono in piedi le vecchie regole ed i vecchi comportamenti (non mancano neppure in Veneto).
Si è fatta largo, grazie a questi tre accordi, una prassi ma anche una concezione del sindacalismo industriale, che è matura per il grande balzo della partecipazione quindi del superamento in positivo dell’antagonismo. Le nuove regole sulla rappresentanza portano questo sindacalismo oltre le Colonne d’Ercole. Li dove si paventavano mostri ci sono invece nuovi mari che il mondo del lavoro ed il sindacato possono navigare insieme, forti dei valori etici di cui sono portatori.
Per dirla in breve: stiamo andando verso un sindacato nuovo.