Quegli 8.000 ragazzi che “occupano” il Veneto

Lunedì, 20 giugno 2016

Oggi è la giornata internazionale del rifugiato. Papa Francesco ha ribadito che i rifugiati sono persone come tutte le altre. Una affermazione che potrebbe sembrare banale, una pura constatazione. Non è però così: per molti, gli uomini e le donne, i ragazzi ed i bambini che fuggono dalle guerre e dalle violenze cercando rifugio in altri Paesi non sono persone normali ma piuttosto invasori, portatori di malattie contagiose, fanatici religiosi, gente pericolosa, ladri di lavoro e di welfare. E fermiamoci qui.
Nel mondo l’ONU conta 65 milioni di profughi in tutto il mondo. Di questi solo una minima parte cercato rifugio in Europa, il continente con il più alto tasso di benessere al mondo, ma anche il più vecchio anagraficamente. Lo scorso anno, ad esempio, hanno varcato le frontiere dell’Unione poco più di 1,2 milioni, un terzo ha chiesto rifugio in Germania. In Italia sono sbarcate tra il 2014 ed il 2015 circa 290.000 persone. La metà ha chiesto asilo, l’altra è transitata verso il nord Europa.
Il paese europeo con il rapporto più alto tra popolazione e richieste di protezione internazionale è l’Ungheria, 13 volte di più dell’Italia.
Guardando con attenzione possiamo dire che non c’è nulla di eccezionale nella storia del nostro continente: durante la Seconda Guerra Mondiale i rifugiati si contarono a milioni, mentre furono centinaia di migliaia coloro che, più recentemente, sono scappati dai Balcani a seguito delle guerre di Jugoslavia.
Più ricchi e più lontani dalle guerre di 20 o 70 anni fa gli europei si dimostrano però più preoccupati ed impauriti. Non è un caso: la paura se non l’astio contro i nuovi rifugiati è uno dei modi (forse il più proficuo) con cui i movimenti nazionalisti ed antieuropeisti raccolgono consensi. Dalla campagna per la Brexit (con la tragica parentesi dell’omicidio Cox) alla edificazione di barriere e muri tra Stati che credevamo superati per sempre dopo la caduta del Muro di Berlino.
L’Italia non ne è immune e tanto meno il Veneto dove la maggioranza degli amministratori pubblici, a tutti i livelli, hanno fatto le barricate pur di non dare ospitalità e giocato contro ogni soluzione razionale del problema, fino a farne una emergenza.
Marce, presidi e altre manifestazioni di intolleranza si sono susseguite per tutto il 2015 e non mancano anche in questi primi mesi del 2016, anche se, a distanza di un anno nessuna delle paventate catastrofi si è concretizzata: nessuna malattia contagiosa, meno delle dita di una mano i casi di reati, costi modestissimi a carico di tutti i residenti (stranieri compresi) per le operazioni di salvataggio in mare e accoglienza (a conti fatti ognuno di noi ci ha messo 1 euro al mese).
Gli invasori che hanno occupato il Veneto sono oggi poco più di 8.000, uno ogni 600 residenti. Sono in gran parte giovani dai 16 ai 30 anni. Una parte è scappata dai conflitti e dalle violenze del loro paese di origine, altri erano lavoratori emigrati in Libia e da lì fuggiti dopo la guerra civile. Altri ancora scappano semplicemente dalla miseria più assoluta e non per questo non sono degni di rispetto. Sono ospitati in un Veneto che continua a perdere popolazione, ad invecchiare e con buchi sempre più ampi tra le nuove generazioni. Non ci vorrebbe molto, nel rispetto delle leggi, a farli diventare una risorsa per il nostro futuro. Ma serve costruire ponti con il futuro, un compito che sembra improvvisamente diventato più difficile per tutti, non perciò meno necessario.