Parole e atti per il lavoro: evitiamo un inutile conflitto

Mercoledì, 01 ottobre 2014

 Ci risiamo: è ripartita l’ennesima volta la polemica sull’ art.18 e, in particolare, la sua controversa relazione con l’occupazione. Il 18 è ancora la diga contro l’alluvione dei licenziamenti (individuali) facili? Oppure è una muraglia che disincentiva le aziende (sopra i 15 dipendenti) ad assumere? Come si regolano gli altri Paesi europei: si reintegra o si monetizza il licenziamento improprio?

A fare la differenza con le precedenti contese c’è che la crisi in corso dalla fine del 2008 ha bruciato oltre un milione di posti di lavoro (quasi centomila nel solo Veneto) creando anche nelle regioni più sviluppate aree di disoccupazione cronica riducendo in modo impressionante le opportunità per i giovani di trovare un primo lavoro non precario. In breve: licenziamenti (collettivi) a catena (nonostante il ricorso a grandi dosi di Cig) e scarse occasioni di ri/occupazione. La creazione di nuovi posti di lavoro è quindi vera emergenza che però non ha trovato, finora, risposte efficaci.

I provvedimenti legislativi prodotti dal governo Monti con la riforma Fornero (compresa la limitazione della reintegra con il 18), dal governo Letta con sostanziosi incentivi per chi assume giovani ed infine dal ministro Poletti con la “liberalizzazione” dei contratti a termine hanno, forse, limitato i danni ma certamente non dato i risultati attesi.

Il punto è che l’economia non riparte. L’export e i settori che tirano non compensano la depressione del mercato interno. Il lavoro nuovo continua a latitare e l’offerta di lavoro spesso si esprime con forme contrattuali labili e poco retribuite (vedi l’esplosione dei voucher).

In breve: tutto fa pensare che il “sistema” sia bloccato e che per rimetterlo in moto non basta una ordinaria manutenzione ma riforme radicali. Compresa l’ennesima sul mercato del lavoro? Anche.

Nella discussione in corso sul 18 prevalgano però non tanto e non solo atteggiamenti “ideologici” ma posizioni strumentali, espressioni di conflitti interni ai partiti e tra partiti.

Il governo intende intervenire nelle nuove assunzioni con il sistema delle tutele progressive dove l’opzione della reintegra viene limitata ai casi di licenziamento discriminatorio e disciplinare mentre in tutti gli altri rimane il risarcimento economico. Il tutto nel contesto del Jobs Act che prevede anche altre consistenti interventi per rendere meno vincolanti per le aziende i nuovi rapporti di lavoro, garantire più tutele sociali a chi perde il posto e ridurre seriamente il lavoro precario. Si tratta di obiettivi che la Cisl sostiene da tempo (Statuto dei lavori, ecc.).

Ma la vera domanda è: una riforma di questo tipo rende più interessante l’investire in Italia e quindi produrre nuova occupazione? E’ possibile. Ma solo se si abbattono contemporaneamente ostacoli ben più rilevanti: la lentezza del sistema giudiziario e la scarsa efficacia delle sue norme in materia economica, la corruzione, l’eccesso di burocrazia che grava sulle imprese, il blocco del credito, la scarsità delle risorse assegnate alla ricerca e alla innovazione, i costi dell’energia.

E’ una partita che va giocata, fino in fondo e da tutti i giocatori.

Ecco perché la Cisl non ha alzato barricate ammassando pregiudizi ma insiste per un tavolo di confronto vero. Anche Renzi sembra averlo capito dichiarandosi disposto a riaprire la Sala Verde di Palazzo Chigi. Noi ci andremo per discutere sul merito e ci aspettiamo altrettanto dal governo.

Sul lavoro non serve produrre un ulteriore, scontato ed inefficace conflitto di parole ma atti efficaci. Ecco perché il 18 ottobre saremo in tutte le piazze d’Italia: la priorità è il lavoro.