Noi, popolo ancora di emigranti

Martedì, 03 febbraio 2009

La vicenda degli operai italiani nella raffineria Lindsey Oil (e con loro altri operai portoghesi) ci ha riportato alla memoria che siamo ancora oggi un popolo di emigranti. Quasi 3 milioni e mezzo sono infatti i nostri concittadini (pari al 16% dei lavoratori occupati in Italia) che lavorano all'estero, in tutti i continenti e in tutti i mestieri del lavoro dipendente, autonomo e professionale. I veneti ne sono una parte importante anche sotto il profilo numerico. Più di 60 milioni sono invece le persone di origine italiana (più degli italiani in Italia) che vivono nel mondo, eredi delle grandi emigrazioni dei secoli scorsi.
La protesta dei lavoratori del Regno Unito contro la loro presenza e per reclamare l'autarchia nel lavoro (il lavoro britannico ai lavoratori britannici) ci fa capire, a parti inverse, cosa può provare un lavoratore straniero in Italia e la sua famiglia quando qualcuno accusa gli immigrati di rubare il lavoro agli italiani e via di seguito.
La globalizzazione del lavoro, più antica e consueta nella storia dell'umanità, che quella delle merci e dell'economia, può essere vista, specie nei momenti di crisi economica ed occupazionale, come una condizione negativa a cui va posto rimedio alzando barriere protezioniste o espulsioni, più o meno forzate.
Nei fatti il protezionismo nel lavoro è quanto di peggio una paese economicamente sviluppato e socialmente avanzato può mettere in atto. E non solo per paesi con ancora sacche di disoccupazione come l'Italia dove lo scambio avverrebbe tra emigranti di ritorno e immigrati in uscita, forse pari sotto il profilo numerico, ma improponibile nell'aspetto professionale: rientrano i tecnici per fare le badanti?
Sbagliano dunque quei lavoratori inglesi, ed i loro sindacati, a considerare l'occupazione di cento o mille posti di lavoro da parte di lavoratori non inglesi la causa delle loro difficoltà.
Ha sbagliato anche il primo ministro Gordon Brown a lanciare (e poi ritirare) lo slogan "british jobs for british workers".
Sbagliano quindi anche coloro che in Italia, Veneto compreso, lanciano anatemi contro i lavoratori immigrati e propongono interventi (più o meno fantasiosi) per rimandarli a casa.
Queste grida non risolvono in alcun modo i reali problemi occupazionali mentre contribuiscono invece ad alimentare la xenofobia e il razzismo che in questi stessi giorni stanno dando segnali allarmanti.
Di queste cose, oggi più che mai, non ne abbiamo proprio bisogno, in qualsiasi regione d'Europa di troviamo, che sia il Veneto od il Linconshire.

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