La Brexit e noi

Domenica, 26 giugno 2016

Il referendum popolare, nato per rafforzare le posizioni del Regno Unito nell’Unione Europea, ha invece prodotto la cancellazione di 43 anni di partecipazione dei sudditi di Elisabetta II alla Comunità Europea. Risale infatti al 1 gennaio 1973 l’adesione formale dell’UK alla UE (allora CEE, Comunità Economica Europea) a seguito della ratifica del Trattato di adesione da parte del Parlamento avvenuta qualche mese prima, una scelta che venne approvata due anni dopo, nel 1975, sempre con referendum popolare ma dal 65% degli elettori.
I leader populisti e nazionalisti che hanno condotto una vincente (nelle urne) campagna per la Brexit, a partire da Nigel Farage hanno esultato “E’ l’Indipendence Day” rievocando forse il titolo del film che racconta la liberazione degli USA da una invasione aliena o la festa dell’Indipendenza degli USA che celebra il 4 luglio 1776 quando le colonie americane si staccarono dal Regno di Gran Bretagna.
Il risultato è stato festeggiato dai nazionalisti e populisti di tutta Europa che sostengono la fuoriuscita dei loro paesi dalla UE, a partire dalla Francia, dai Paesi Bassi e dall’Italia “ora tocca a noi”.
Ciò che impressiona della Exit è che è stata sostenuta da quei ceti sociali (ma così è anche nel resto dell’Europa) che probabilmente pagheranno più a caro prezzo la fuoriuscita. I sindacati inglesi si sono sforzati di spiegare, senza però ottenere i risultati attesi, che una parte importante delle tutele sul lavoro arrivano proprio dalle norme comunitarie (vale anche per l’Italia!). La maggioranza degli imprenditori e così un vasto fronte della politica, dai laboristi alla maggioranza dei conservatori (Cameron in testa) hanno messo in risalto le ripercussioni negative che si avrebbero avuto sia nell’economia che nella occupazione. Ma ha prevalso l’idea che si trattava di esagerazioni e di tentativi di ricatto.
Il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea pagando poi un alto prezzo sulla sua unità come già hanno fatto sapere gli indipendentisti della Scozia e della Irlanda del Nord e con la sua capitale, Londra, su posizioni diametralmente opposte rispetto alla parole chiave che hanno sostenuto l’Exit: basti pensare che il suo sindaco, Sadik Khan, è figlio di immigrati pakistani, giovane e musulmano.
C’è quindi molto da riflettere su come si sia arrivati a questo punto. Lo dovranno fare gli inglesi per i quali si preparano anni non facili. Ma anche tutti gli altri cittadini europei, italiani e veneti compresi. E’ possibile che le autorità comunitarie, a partire dalla BCE di Mario Draghi, riescano a contenere i danni economici conseguenti (li misureremo nei prossimi 2-3 anni, il tempo tecnico necessario al definitivo sganciamento) ma non quelli politici e sociali. A questi devono pensarci i governi nazionali (che sono poi i veri governanti l’Unione Europea) e le forze politiche che hanno dato origine al progetto europeo sulle macerie della Seconda Guerra Mondiale. Ma dobbiamo pensarci anche noi, sindacato, perché dalla costruzione dell’Europa unita deriva una parte importante del benessere e delle conquiste dei lavoratori e, più ancora, del loro futuro.