Il Veneto, Renzi e la Terza Repubblica

Domenica, 01 giugno 2014

Con le elezioni di domenica siamo entrati nella Terza Repubblica. Il voto a Renzi premia due fattori, solo apparentemente antitetici: la stabilità e il riformismo radicale. Siamo già in un’altra storia. E il premier ha piena coscienza di cosa significhi, come dimostrano le sue dichiarazioni ad “urne calde”. Tanto per capire quando profonda sia la svolta: fino a qualche mese fa il dilemma era tra l’ordinaria manutenzione e il confuso populismo. Una precisazione: sono tra coloro che pensano che il 25 maggio hanno vinto la determinazione, la velocità, la consequenzialità di Renzi, non il PD. La vicenda degli 80 euro sono un esempio clamoroso di quanto sia ingessato il nostro sistema: per vent’anni abbiamo sentito continui annunci su aumenti di reddito e riduzione delle tasse finiti nel nulla: gli automatismi del sistema schiacciavano la volontà dei governi. Tanto per capirci: il 93% delle leggi Finanziarie ha risorse vincolate dalla stratificazione decennale di norme, che capiscono solo gli inamovibili dei Ministeri.
Ma un cambiamento basato tutto sulla verticalità di Matteo Renzi è soggetto a rischi e limiti. Sul cambiamento devono muoversi (“fare sul serio”) anche altri soggetti che operano nella politica, nell’economia e nel sociale. Anche con un forte rapporto dialettico con il Premier.
Questo ragionamento vale anche per il Veneto. Intanto vanno archiviate tre idee nelle quali ci siamo cullati un po’ tutti.
La prima: quella che la modernizzazione potesse derivare da una sorta di espansione delle logiche dell’impresa e del lavoro alle istituzioni, alla PA e alla società tutta. E’ avvenuto il contrario. Il “motore” del cambiamento – l’impresa e il lavoro – è andato in difficoltà e ha subìto le logiche dei mondi che avrebbe dovuto riplasmare. Così il sistema costituito da burocrazia, fisco, servizi pubblici locali non solo è andato a crescere separato dai bisogni dell’economia e della società, ma addirittura vi è andato contro. Con le debite eccezioni. Se prendiamo il welfare sociosanitario è ormai conclamato che il Veneto è riuscito a garantire una buona sanità pubblica con il parametro delle risorse date. Ha fatto programmazione, ha espresso un pensiero organizzativo, ha istituito strumenti di valutazione e controllo efficaci. Ha autonomamente introdotto i costi standard. Si spacca il capello in quattro alla Regione perché sono previsti 700 o 720 primari quando in altre, che hanno più o meno gli stessi abitanti, i primari sono più di 7.000. Ciò non toglie che i margini di miglioramento sono ancora notevoli come non pochi gli sprechi da eliminare.
Sulla via definitiva del tramonto è poi la rassicurante idea che l’impresa sarebbe sempre cresciuta con il territorio. Scopriamo invece che l’impresa globale, che cresce nonostante la crisi, si è rafforzata generando ricchezza sulle reti globali, spesso a prezzo di un distacco dal territorio. Quante multinazionali tascabili oggi fanno profitto estero su estero, collocando nei BRICS anche le funzioni di ricerca ed innovazione? Questo significa che il territorio è oggi carente di risorse umane, di servizi avanzati, di agenzie formative, di reti energetiche e ambientali di qualità e a basso costo. In questo caso si deve intervenire nelle politiche territoriali che sono determinate, in buona misura, dai soggetti, istituzionali o privati locali. Il miracolo qui non lo fa Renzi, dobbiamo farcelo noi, a partire da questa considerazione: negli ultimi dieci anni il crollo degli investimenti in Veneto è impressionante ma nello stesso tempo si è costruito il doppio abitativo che in Italia, il triplo in termini di capannoni produttivi, addirittura il quadruplo in termini di seconde case e case sfitte. Anche questo è colpa di Roma? In giro per l’Italia questa bulimia edilizia non c’è stata.
Infine dobbiamo abbandonare anche la polenta stracotta del finto federalismo che ha prodotto, ad esempio, il raddoppio delle Pubbliche Amministrazione con il gioco delle partecipate. E’ un sistema perverso dove gli sprechi sono maggiori perché la logica è rimasta assistenzialistica e il vincolo del patto di stabilità è stato aggirato. Riguarda tutta la PA: dai trasporti pubblici alle concessionarie autostradali, dalle utility dell’acqua, gas, energia e dei rifiuti a enti di sviluppo e di formazione. I suoi costi e le sue inefficienze vincolano l’aumento di salari e pensioni e costituiscono un blocco ad una estesa riduzione delle tasse, nazionali e locali.
Vediamo timidi segnali di ripresa economica: i cartelli di assunzioni fuori dalle aziende, i camion numerosi in autostrada, i dati sull’occupazione. Sappiamo che ci sono possibili spazi in sede europea per rendere più flessibile l’austerità del fiscal compact. Cerchiamo di sfruttare queste come occasioni per cambiare anche il Veneto e candidarci a locomotiva anche nella Terza Repubblica (naturalmente non possono esserci sempre gli stessi a spalar carbone).