Il TFR è uno, e va destinato alla pensione integrativa.

Lunedì, 13 ottobre 2014

L’ipotesi di destinare il Trf (per intero o in parte) ai consumi immediati ci lascia molto perplessi.
Siamo dell’avviso infatti che questa parte del salario debba essere indirizzata alla previdenza complementare, a garantire cioè un reddito sufficiente alle prossime generazioni di pensionati. Ricordiamoci tutti (governo, partiti, parti sociali e organi di informazione) che le pensioni calcolate con il sistema retributivo sono finite da un pezzo e da qualche anno siamo già con il sistema misto (retributivo e contributivo) che però, a breve, cederà definitivamente il passo al contributivo prevalente o puro. Per dirla in parole povere: nel giro di qualche anno tutti avranno pensioni pubbliche con un importo, rapportato alla retribuzione, molto più basso.
Integrare la pensione Inps con quella integrativa sarà quindi necessario per campare decentemente.
Il Tfr, messo a fruttare nei Fondi Pensione, è parte fondamentale nella costruzione del capitale che finanzierà la pensione complementare.
I bilanci dei Fondi parlano chiaro: la parte più consistente del risparmio previdenziale arriva dall’accantonamento del Tfr. Citiamo, scorrendo la relazione annuale sulla gestione, il caso di Solidarietà Veneto (fondo regionale multisettoriale) dove il 69% del fondo è derivato da Tfr e il caso di Cometa (fondo nazionale metalmeccanici) dove le somme di Tfr accantonate sono pari al 68% del totale. Nella stessa proporzione per gli altri fondi.
E ancora: la media dei versamenti annui è, per lavoratore, di circa 2.100 euro in Solidarietà Veneto e di 2.300 in Cometa. Senza Tfr la media sarebbe, rispettivamente, di 650 e 750 euro. Gli effetti sull’importo della pensione che si va a maturare sono evidenti. In via approssimativa chi si aspettava (versando il Tfr) 500 euro al mese, se ne troverà (versando le sole quote contrattuali) non più di 150.
Da qui le nostre perplessità. Riteniamo infatti che non si possa sacrificare alle esigenze immediate le sicurezze per il futuro. I primi a pagarne le conseguenze sarebbero i giovani di oggi e anziani di domani. Il danno poi è irrimediabile a meno che non si pensi di alzare la rendita della pensione pubblica.
Andrebbe poi in fumo tutto il lavoro di informazione ed educazione in materia di previdenza che è stato fatto in questi anni e che, ancora oggi, non ha raggiunto i necessari risultati in quanto la partecipazione alla previdenza complementare è infatti ancora minoritaria, specie tra chi ne avrà più bisogno.
Infine si svuoterebbero le casse dei Fondi Pensione rendendo così impraticabile ogni loro intervento a sostegno delle imprese, un percorso già praticato in Veneto da Solidarietà Veneto e su cui si è fatto avanti anche il governo.
Questo non vuol dire che le motivazioni che sorreggono questa proposta non siano reali. Dare ai lavoratori più soldi da spendere subito è una delle terapie per rilanciare i consumi interni e quindi la produzione e di conseguenza l’occupazione.
Crediamo che si possano ottenere gli stessi risultati con altre soluzioni. La riconferma (e, se possibile, l’allargamento) del bonus 80 euro per il 2015 è una di queste.
Ancora più utile sarebbe detassare totalmente e in via definitiva il salario di produttività e anche una parte dello straordinario, mantenendo intatta la parte dei contributi ai fini pensionistici.
La riduzione delle entrate fiscale da queste voci sarebbe modesta e subito compensata dalla maggiore produttività del sistema, dalla riduzione del nero, e dagli effetti positivi sull’occupazione dipendenti (la vera platea dei contribuenti).