Con le donne ucraine, verso l’Europa per la libertà

Martedì, 28 gennaio 2014

L’Ucraina è, per l’immaginario della maggior parte di noi, distese di girasoli e badanti immigrate. Per qualcuno è anche il disastro di Chernobyl. Pochi sanno che il Paese dove avvenne il primo genocidio per fame, l’holodomor, deciso da Stalin all’inizio degli anni ’30. Ancora meno che fu terra di emigrazione per migliaia di italiani. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica gli ucraini hanno cercato una loro via verso la democrazia e la libertà dovendo scegliere, ogni giorno, se rimanere sotto l’influenza degli interessi russi o guardare verso l’Europa. In ogni caso sapendo di doverne pagare le- dure- conseguenze. Come accade per ogni terra e popolo di confine, perché l’Ucraina, come significa il suo nome, è confine. Non è più però marginale. La scelta degli ucraini è quella di guardare all’Europa, all’Unione Europea. Lo testimoniano le manifestazioni popolari che oramai si sono trasformate in occupazione stabili delle piazze, dei luoghi pubblici, degli stessi palazzi di un potere governativo oramai non più riconosciuto.

Le immagini che ci arrivano da Kiev raccontano di una rivolta che ha le donne in prima fila, così come sono soprattutto di donne le manifestazioni di sostegno organizzate dall’emigrazione ucraina anche in Veneto. E’ nella storia di questo paese la forza delle sue donne, madri e lavoratrici da sempre, che fanno parte a pieno titolo di quel pacifico ed inarrestabile esercito femminile da anni in prima fila nelle battaglie per il progresso civile e contro il dispotismo in tanti paesi poveri, in Africa come in Asia. Un movimento di donne che attraversa a testa alta le più diverse culture, religioni, sistemi politici e tradizioni.

L’Unione Europea, mentre si appressa alla sua oramai prossima scadenza elettorale a cui si presenteranno decine di formazioni politiche anti-europee, nostalgiche dei confini abbattuti ignorando volutamente le cause che provocarono (giusto a cento anni fa) la tragedia di quella Grande Guerra che si concluse veramente solo nel 1945, non può più stare a guardare quello che succede al suo, attuale, confine orientale. Anche in Veneto non possiamo rimanere con le mani in mano. L’appello dei 15mila immigrati ucraini, 8 su dieci donne, in gran parte lavoratrici che assistono i nostri anziani e disabili, va raccolto, la loro aspirazione alla libertà va sostenuta, il loro pacifico impegno per i figli ed i mariti che in patria si battono per la democrazia va appoggiato.

Ci attendiamo un segnale forte ed inequivocabile da parte di tutte le istituzioni venete. Non staremo in silenzio.