Al Veneto serve immaginarsi un futuro concreto, non correre con la fantasia

Martedì, 25 marzo 2014

 In questi giorni ho chiesto a decine di persone se avessero votato o se, a loro volta, conoscessero qualcuno che ha votato o abbia detto di aver votato nel referendum indipendentista. Risposte positive zero. Eppure secondo quanto hanno dichiarato i suoi promotori due terzi dei potenziali elettori lo avrebbe fatto. I numeri gonfiati (e non di poco) ed un giro mediatico tutto particolare (e spesso di scarsa qualità) ne hanno fatto un caso nazionale e quindi oggetto di attenzione e di commento da più parti, specie in Veneto.

Non è quindi una perdita di tempo porci una domanda semplice, semplice: come mai tanto rumore? come mai tanta preoccupazione specie nel mondo della rappresentanza politica e sociale?

Diamanti, nella sua puntuale analisi pubblicata da la Repubblica di oggi, offre una interpretazione utile: aldilà dei numeri dei partecipanti (che però rimangono un elemento fondamentale di valutazione) il referendum è l’ennesima espressione di un progressivo distacco tra il cittadino veneto e le istituzioni centrali. Una occasione in più per protestare e contestare non solo la politica nazionale ma anche quella locale. Da qui la, motivata, preoccupazione delle rappresentanze politiche e sociali. Che però propongono risposte diverse e divergenti e, riteniamo, in gran parte controproducenti o inadeguate. Il tentativo di cavalcare la tigre con un referendum istituzionale anticostituzionale è da annoverarsi tra le controproducenti: sappiamo che non porterebbe a nulla di concreto e sarebbe quindi visto come l’ennesima presa in giro (a meno che non si pensi al solo immediato “incasso” elettorale). L’alzare la voce per pretendere più autonomia, lamentandosi dei maltrattamenti subiti, è (come dimostrato negli ultimi 20 anni) indubbiamente inadeguato.

Il mondo della rappresentanza veneta dovrebbe invece fare uno sforzo comune per immaginare un progetto politico ed istituzionale realmente percorribile per la nostra regione, un progetto che dia risposte concrete alle motivazioni del disagio e del distacco (non dimentichiamoci che sono condizioni antecedenti alla crisi). Ad esempio: le scelte che Renzi ha assunto in queste prime settimane di governo vanno nel senso giusto? Allora appoggiamole, mettendo come vero discrimine la loro effettiva realizzazione. O invece vogliamo il Veneto indipendente con le Province ed un suo Parlamento Bicamerale? La riduzione delle tasse per i lavoratori a basso reddito va bene? E noi cosa ci aggiungiamo con la fiscalità locale e la pratica contrattuale? Vogliamo darci da fare per spendere tutto, e bene, i fondi che l’Unione Europea ci mette a disposizione oppure facciamo le campagne contro l’euro per ottenere un posto di parlamentare a Bruxelles? Aspettiamo i tagli e le privatizzazioni del governo o procediamo senza indugi anche a livello regionale e comunale? Se la concertazione è ancora una prassi utile a produrre cambiamento perché non la pratichiamo veramente in Veneto? E ancora: cosa aspettiamo per produrre accordi sindacali per una bilateralità che allarghi il welfare integrativo, incentivi l’occupazione, rafforzi la competitività? Infine: se puntiamo sul buon federalismo perché non si produce una proposta che valga per tutto il paese, quindi nuovo assetto delle Regioni, pari opportunità per tutte, sì alle vere specialità che non significhino però privilegi sulla gestione delle risorse fiscale per alcune.

Dobbiamo immaginare una regione d’Europa e non fantasticare sullo Stato- capanna dei giochi.