8 Marzo. La libertà delle donne segna il sindacato libero

Venerdì, 04 marzo 2016

Le donne italiane hanno dovuto aspettare il 10 marzo di 70 anni fa per essere riconosciute dallo Stato quali cittadine a pieno titolo. Era da poco terminata la guerra ed i primi governi, nati dagli accordi tra i partiti antifascisti, si misero d’impegno per superare un ritardo storico che l’Italia aveva accumulato rispetto alla gran parte degli altri paesi, europei compresi.

Il Decreto n.74 del 1946 permise infatti alle donne con più di 25 anni di partecipare alle prime elezioni amministrative del dopoguerra e poi, il 2 giugno, al Referendum e per la scelta tra Monarchia e Repubblica e alla elezione dell’Assemblea Costituente.

La Repubblica e la Costituzione Italiana sono dunque anche figlie delle donne.

Leonilde Iotti, eletta deputata, scrisse allora che “Il cammino percorso in meno di un anno è stato molto e difficile: ma le nostre donne hanno bruciato le tappe”. Poi tutto rallentò.

La Repubblica fu avara di diritti verso le donne e ostile a cedere loro spazi di potere reale. Si dovette aspettare altri 30 anni per avere la prima donna ministro: la veneta Tina Anselmi chiamata dal governo Andreotti III a ricoprire la carica di Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale. Fece la prima legge per favorire l’occupazione giovanile e introdusse il Servizio Sanitario Nazionale.

Altrettanto lenta fu la conquista dei diritti sul lavoro per donne italiane.

E’ del 1950 la prima legge sulla tutela delle lavoratrici madri, ma bisogna aspettare il 1963 perché il matrimonio non venga più ammesso come causa del licenziamento della lavoratrice e perché alle donne venga data la possibilità di accedere a tutti i pubblici uffici senza distinzioni.

Nel 1977 viene riconosciuta per legge la parità di trattamento tra uomini e donne sul lavoro. Ma riconoscere un diritto non basta e allora, nel 1991, il Parlamento approva le “Azioni positive per realizzare la parità” prima nel lavoro dipendente e poi nell’imprenditoria.

Bisogna però arrivare agli anni 2000, alla spinta decisiva che arriva dalla più avanzata Europa per avere la parificazione dei genitori nelle cure della famiglia e per cambiare l’art. 51 della Costituzione per cui è la Repubblica a impegnarsi a promuovere le pari opportunità.

Ricordare questo lungo percorso storico non è tempo perso e nemmeno un puro esercizio scolastico.

Alle donne italiane nulla è stato regalato nella conquista di quella pari dignità ed eguaglianza nella società come nel lavoro pur sostenute da diverse ideologie politiche, anche antitetiche tra loro.

Non dimentichiamo poi che solo da qualche anno si è arrivati ad una sufficiente tutela delle lavoratrici dal licenziamento a causa maternità.

Anche il sindacalismo ha faticato a praticare fino in fondo la parità dei diritti e la loro promozione attiva anche se, alla fine, le donne hanno saputo imporre le loro specificità provocando così il superamento dei vecchi schemi contrattuali e il rafforzamento della contrattazione aziendale.

L’appartenenza all’Europa ha indubbiamente spronato questi cambiamenti contagiando l’Italia con il virus delle libertà e dei diritti della persona.

E’ lo stesso virus che ha marcato la scelta fondativa della Cisl: il progresso, la democrazia e la libertà della personalità umana al cui rispetto devono ordinarsi società e Stato.

Sindacato libero e donne libere.