60° Trattati di Roma. Quell’Europa che c’è in noi

Venerdì, 24 marzo 2017

“Noi siamo per l’unità europea perché i lavoratori hanno istintivamente una visione contraria a qualsiasi impostazione di sapore nazionalistico. E siamo anche per un abbassamento delle frontiere economiche, anche se non ci nascondiamo i rischi che possono derivare ai paesi poveri da una liberalizzazione degli scambi”. E’ Giulio Pastore a fare queste affermazioni nel suo discorso alla Assemblea costitutiva della Cisl, il 30 aprile del 1950, a Roma.

Il legame tra Cisl ed Europa unita è dunque parte integrante della sua natura di sindacato libero e democratico. Così la vollero i suoi fondatori che nell’unità dell’Europa vedevano il primo passo per giungere a quella unificazione economica dei mercati (premessa della unificazione politica degli Stati) che veniva indicata come una delle trasformazioni da apportare al sistema economico per assicurare “un migliore impiego delle forze produttrici e una ripartizione più equa dei frutti della produzione”. Così si scrisse nello Statuto costitutivo e così è rimasto fino ad oggi.

Sulla firma degli accordi che il 27 marzo 1957 diedero vita al processo di unificazione di sei Stati che avevano passato i precedenti 40 anni a combattersi in tutti i modi, compresi 10 anni di conflitto armato, Pastore espresse il compiacimento (così di diceva allora) dei lavoratori italiani “per la realizzazione di un obiettivo di importanza storica per tutti i lavoratori europei e per i loro sindacati”.

Come già anticipato nel discorso di 7 anni prima Pastore non era un incosciente entusiasta “già sappiamo che [con l’apertura del mercato comune] avremo problemi della stessa specie per alcuni settori produttivi. Questo tuttavia non ci turba perché faremo ogni sforma per controllare il ritmo dello sviluppo economico nella direzione più consona agli interessi dei lavoratori”.

Nessuna paura quindi ad affrontare la concorrenza con le economie di paesi ben più potenti, dominate dall’industria mentre in una parte dell’Italia dominava ancora il latifondo. Anzi: la Cisl si lamentò della lunghezza dei tempi necessari alla effettiva unificazione. Di più: intravide nel superamento delle barriere la grande occasione per ammodernare il Paese puntando ad una sua rapida e diffusa industrializzazione.

Sembrano oggi parole ed idee scontate. Ma all’epoca ci voleva coraggio, ottimismo, forza di volontà e visione progettuale per sostenerle con determinazione.

Di più ancora: sfidando la Cgil che poneva veti e pretendeva garanzie aggiuntive, Pastore e la Cisl chiesero con forza che le frontiere di abbassassero anche “per far liberamente circolare la mano d’opera” perché la solidarietà fra lavoratori deve concretizzarsi “in provvedimenti che permettano a questo popolo geniale di continuare a portare la sua parola e la sua opera nel mondo”. Libertà di emigrare, il “diritto di emigrare” come sosteneva don Mazzolari. 

A sessanta anni di distanza mentre anche in Europa corrono le ideologie protezionistiche e sovraniste, dobbiamo avere la capacità, come ha detto Papa Francesco incontrando i rappresentanti della UE, di “immedesimarci nelle sfide di allora”.

Solo così potremo capire il perché la comunità europea nel mondo è l’unica sua parte esente da conflitti dal termine della Seconda Guerra Mondiale, è prima economia per PIL, è produttrice e beneficiaria del 70% di tutto il welfare.

Solo se comprendiamo la portata delle sfide che la Cisl pose allora possiamo capire il perché, ancora oggi, essere cislini significare essere inscindibilmente europei.